"LA FILOSOFIA DELLA LIBERAZZIONE POPOLARE SCELTA DI CAMPO NEL CONFLITTO NORD-SUD".(*) Giulio Girardi (Napoli-Italia) I. CULTURA, EDUCAZIONE ED ORGANIZZAZIONE IMPERIALE DEL MONDO. Centralitá del conflito Nord-Sud. Il conflitto tra il Nord e il Sud del mondo, tra gli imperi ed popolo, è il più lungo e micidiale dell`ettá moderna. Esso incide in modo determinante sullo sviluppo e sulla dialettica dei singoli paesi, siano collocati al Nord o al Sud. `E questa la forma più importante che assume oggi l'antagonismo, presente atraverso tutta la storia, tra il diritto della forza e la forza del diritto. `E quindi sopratutto nelle vicende di tale conflitto che si definisce il senso della storia. Al centro di questa visione delle cose si colloca la convinzione che l'imperialismo non è un'ideologia, ma la realtà più determinante e più tragica del mondo contemporaneo. Intendendo per "imperialismo" anzitutto l`organizzazione del mondo imperniata sul dominio e lo sfruttamento dei popoli del Terzo Mondo da parte dei paesi del Primo Mondo; e, in secondo luogo, i protagonisti di questa organizzazione. In tale prospettiva, il crollo di regimi comunisti dell'Est europeo, la dissoluzione del "campo socialista", la fine della guerra fredda tra Est e Ovest non pongono termine alla guerra mondiale , ma la rendono più dura e cruenta, perché accrescono la potenza e la prepotenza dei paesi imperialistici, e riducono le possibilitá di resistenza dei popoli del Terzo Mondo. Del resto, su quello che sarà il "nuovo ordine mondiale" la guerra del Golfo ha fornito un segnalé preciso: ammonendo che eso non sará per nulla nuovo, ma una versione più monolítica e quindi più rigida e intollerante dell'antico. Sarebbe pertanto gravemente errato identificare fine del conflito Est-Ovest e fine dell'anticomunismo. Se infatti il comuniismo ha cessato di essere una minaccia in Europa e per l'Europa non ha cessato di esserlo nel Terzo Mondo, dove molti movimenti di liberazione persistono, a ragion veduta, nel voler caratterizzare la loro lotta in senso anticapitalista ed antiimperialista. `E quindi oggi più evidente di quantto non fosse in passato che la battaglia anticomunista condotta dall'imperialismo nel Terzo Mondo non è diretta primariamente contro l'Unione Sovietica, ma contro i popoli ribelli do occidente: sono essi che costituiscono oggi più di ieri, l'imperio del male". Per altro, la tragicitá, la centralitá, la stessa esistenza, del confitto Nord-Sud non sono per nulla evidenti. Sfuggono anzi alla grande maggioranza degli uomini, del Nord come del sud. Perché i rapporti internazionale di dominio sono in larga misura istituzionalizzati, legalizzati e quindi occultatti nella loro carica di violenza dalle struture economiche della società capitalista, dalle tecnologie avanzate in cui esse prende corpo, dalle struture politiche della democrazia borghese, dalla ideologia liberaldemocrattica e dal poderoso apparato informativo attraverso cui essa si esprime. Inoltre, se ai tempi della guerra fredda la pretesa centralitá del conflitto Est-ovest serviva ad occultare il più fondamentale conflitto Nor-Sud, oggi questa funzione di occultamento è assolta dalla pretesa pacificazione ed unificazione del mondo, e dalla conseguente possibilitá di una iniziativa unitaria dell'ONU, in difesa del diritto internazionale. Un segno particolarmente eloquente di questo occultamento della violenza è costituito dall'ostracismo inflitto allo stesso linguaggio che la evoca, per esempio al termine "imperialismo", squalificato ormai come categoria "ideologica", "veteromarxista", "brigatista". Di fronte a questto conflitto fondamentale, per quanto mascherato esso sia, nessun cittadino del monodo, del Nord come del sud, può rimanere neutrale. Certo, per la grande maggioranza delle persone, la presa di partito si verifica inconsapevolmente, cosí come inconsapevole, è il conflitto in cui esse sono coinvolte. Riconoscendo infattti, sia pare tacitamente, come "normale" questa organizazione del mondo, le persone si schierano di fatto dalla parte dei più forti, cioè degli imperi. D'altro lato, nella misura in cui avanza la coscienza del carattere violento, ingiusto e soffocante di tale ordinamento, sorge per un numero crescente di persone e di gruppi, la possibilità di soggetti storici. Questa possibilità si apre in primo luogo per il Sud del mondo; ma anche per agli abitanti del Nord, quando essi colgono l'esigenza di orientare le proprie scelte di campo non solo in funzione di interessi, ma anche e primariamente di valori etici. Queste scelte geopolitiche in un senso o nell'altro, sono fortemente legate, in forza della loro componente etica, alle opzioni personali di fondo, e contribuiscono quindi a definire l'identitá di ogni cittadino del mondo, conferendogli una "nazionalità" più decisiva di quella geografica ed etnografica. L'attenzione allo stretto legame fra scelte sociali e scelte personali è uno dei tratti caractterizzanti della filosofia della liberazione popolare. Il conflitto Nord-Sud sul piano culturale La scelta di campo nel conflitto fondamentale Nord-Sud segna decisivamente non solo la vita ed economica, ma anche la vita culturale del mondo. Ciò significa che le attività intellettuali, come le scienze umane, in particolare sociologiche, psicologiche, storiche, la tecnologia, la filosofia, la teologia, la pedagogia, l`ecologia, non sono mai neutrali, ma sempre schierate, consapevolmente o inconsapevolmente, sul piano geopolitico. La dialettica geopolitica tra cultura degli imperi e cultura dei popoli non investe solo le culture nelle produzioni elaborate, sitematiche, scientifiche, ma anche nelle loro espressioni informali, nei sistemi di valori vissuti nel senso comune, e soprattuto nel modello di uomo soggiacente all'una ed all'altra cultura. La cultura occidentale in tutte le sue espressioni è stata elaboratta dal punto di vista degli imperi, in una prospectiva cioè eurocentrica; e sucessivamente, affermatisi come superpotenza gli Stati Uniti d'America, più generalmente imperiocentrica. Eurocentrismo ed imperiocentrismo che sono raramente dichiarati, ma non per questo meno operanti nell'orientamento culturale di fondo. Per la nostra riflessione è particolarmente importante questa chiave di lettura in rapporto alla storia della filosofia, della teologia e del diritto. Discriminante tra le due culture è la valutazione dell`evento generatore del mondo moderno, la conquista dellÀmerica. In efetti, esso realizza l'organizzazione del mondo all'insegna di una logica economica e politica imperiale, inspirata da una visione teologica, filosofica, giuridica, decisamente eurocentrica. Per chi guarda la storia dal punto di vista dei popoli opressi, per esempio degli indios, la genesi del mondo moderno non rappresenta un progresso della civiltà umana, ma una tragica vittoria della violenza, in forza della quale il mondo si unifica e si organiza all'insegna del diritto del più forte. Il conflitto Nord-Sud sul piano educativo. Ma l'organizzazione del mondo instaurata dalla conquista non è soltanto economica e politica. `E anche, essenzialmente, un sistema educativo, inteso a plasmare il modello di uomo ad essa adeguato. Un uomo cioè che ha interiorizzato l'agressione, la considera naturale e legittima, non ne coglie il carattere imperiale violento, la descrive como un "incontro" di popoli e di culture. Un uomo, in altre parole, per il quale l'organizzazione imperiale del mondo, il conflitto strutturale Nord-Sud non esprime solo una condizione di fatto, ma anche di diritto. Non è una istituzionalizzazione della violenza, ma espressione della "normalità". Vi è una relazione molto stretta fra modello di uomo e concezione della normalità. Questi tipo di uomo, possiamo denominarlo "eurocentrico", o meglio "imperiocentrico", "imperiale". Può essere cittadino del Centro o della periferia dell'impero; può essere europeo o nord-americano o giapponese; mas anche latinoamericano, africano o asiatico. La sua caraterizzazione fondamentale non è geografica né etnologica, ma antropologica e geopolitica. La formazione dell'uomo imperiale segna la psicologia di interi popoli, i quali interiorizzano così loro destino storico, di dominatori o di dominati. Essa costituisce sul piano culturale il fenomeno più importante e decisivo della istoria: e incide su tutte le espressioni particolari della cultura, spontane o elaborate, perché segna decisamente la psicologia, l'itelligenza, la sensibilità del loro soggeto. Il modello imperiale di uomo e di popolo impostosi con la conquista non è una novità, como non lo è l'imperialismo. `E piuttosto una costante nella storia, dominata dalla legge della violenza, la tendenza a plasmare un tipo di uomo, che questa legge abbia interiorizzato. Tanto che Aristotele, il "maestro di color che sanno", afferma nella sua Politica (I,2,1-16) che gli uomini sono destinati dalla loro stessa natura, gli uni a comandare, gli altri ad obbediere, gli uni ad assolvere la funzione dell'anima, gli altri quella del corpo. Per questi ultimi, è meglio servire che essere abandonati a se stessi. Vi sono in altre parole, diremmo oggi, uomini nati per essere soggetti, e altri nati per essere oggetti. Questa teoria non faceva che conferire dignità scientifica ad una convinzione radicata nella polis greca; e in base alla quale la schiavitù era considerata un fatto naturale, di cui non si sentiva il bisogno di stabilire la legitimità. La dialettica storica del padrone e dello schiavo veniva così fondata sulla natura delle cose. Dalla stessa convinzione scaturivano anche altre evidenze, quali la superiorità degli uomini sulle donne e quella del greci sui barbari. Difficile non iscrevere queste "evidenze" nella storia, tutt'altro che conclusa, del razzismo occidentale. La scoperta-conquista dell'america rappresenta una svolta nell'unificazione del mondo e quindi nella gestazione di un tipo di uomo, che si è potuto denominare "planetario", ossia organicamente inserito nella nuova totalità. Tuttavia, valutata dal punto di vista dei popoli periferici, questa espressione si rivela molto ambigua: perché lascia indefinita la struttura di quella unificazione e di quella totalità, della quale l'uomo planetario è membro. Parlando invece di "uomo imperiale", vogliamo appunto rilevare il caratere violento e ingiusto di quella organizzazione del mondo, e perciò stesso il tipo particolare di "uomo planetario" che essa plasma. Pertanto la formazione dell'uomo è frutto non solo di una pratica educativa formale, specifica, sistematica; ma anche e principalmente di un processo oggetivo, struturale, che coincide con lo stesso sistema politico ed economico, in particolare con i rapporti di potere e di produzione. Naturalmente però il livello strutturale tende ad orientare quello culturale dell'azzione educativa: quello cioè della comunicazione cosciente ed organica di un sistema di idee e di valori, intesi a plasmare la coscienza dell'uomo; formandolo a pensare, giudicare, agire "spontaneamente" all'interno della logica imperiale e della sua normalità. Educazione imperiale, cristianesimo, liberalismo Il livello culturale del processo formativo è stato rappresentato in larga misura, specialmente nei primi tre secoli dell'era moderna, dal cristianesimo, ideologia dominante in Europa all'epoca della scoperta-conquista, e in nome della quale essa fu legittimata ed esaltata. IL "cristianesimo" di cui parliamo è più esattamente la "teologia della conquista", espresione radicale della "teologia della cristianità". Intendo con questo nome una teologia secondo cui la cristianità è il soggetto principale, il fine e il criterio di valore della storia. Cristianità significa qui "società cristiana":che cioè riconosce expressamente come fondamento la verità cristiana e come suprema autorità la gerarchia cattolica. A livello geopolitico, cristianità significa "impero cristiano", cioè un insieme di paesi dominati da stati cristiani e pertanto organizzati come una grande "società cristiana". La "teologia della conquista" poi è la verzione più radicale della teologia cristiana della cristianità, che prevalse nella pratica se non nella teoria, giustificando, per rendere possibile l'evangelizzazione, il ricorso alle armi e l'asservimento degli indigeni. L'educazzione imperiale ha quindi coinciso in quei secoli con la considdetta "evangelizzazione", intesa come integrazione, spesso forzata, delle popolazioni sottomese, alla cristianità. Il "cristiano" ortodosso, frutto di tale educazione, è la concretizzazione dell'uomo normale", del modello imperiale. Ma come si è giunti ad un vincolo così stretto fra imperialismo e cristianèsimo? Il legame è costituito appunto dalla teologia della cristianità, il cui presuposto fondamentale è che "fuori della chiesa non vi è salvezza". La sua data di nascità coincide con la svolta costantiniana, che instaura l'alleanza tra a chiesa e l'impero romano, innescando, o almeno accelerando un processo di transformazione del cristianesimo, nel senso di una legitimazione e sacralizzazione dell'impero. La teologia della cristianità diventa l'ideologia dominante del medioevo, e lo era ai tempi dell'impresa di Colombo, alla quale fornì le motivazioni di fondo. In questo contesto, la superiorità del cristianesimo su qualunque altra religione e ideologia fonda la superiorità della società cristiana su qualunque altra. Il diritto-dovere della chiesa di evangelizzare tutti gli uomini e popoli del monodo, fonda il diritto-dovere delle società di civilizzare e dominare le altre. Simultaneamente però si verifica, con l'inizio nell'epoca moderna il 'rinascimento" della cultura laica, in particolare della filosofia. Questa, per affermare la sua identità, deve rendersi autonoma, rompendo con la condizione di "ancella della teologia", che l'aveva caratterizzata nel regime di cristianità medievale. S'innesca d'altro lato un processo laborioso di secolarizzazione della politica e degli Stati, che si scontra naturalmente con forti resistenze della chiesa. Una svolta decisiva in questo processo è segnata dalla rivoluzione francese e dall'affermazione dell'ideologia liberale cui essa s'inspira. Il processo europeo di secolarizzazione si repercuote negli altri continenti, in particolare in America latina. Fortissimo è qui l'impatto della rivoluzione francese e della sua ideologia. Le nuove prospettive ispirano attraverso tutto il continente movimenti progressisti ed emancipatori, che innescano le lotte per l'indipendenza. Questa viene conquistata nei vari paesi all'insegna del liberalismo che diventa progressivamente l'ideologia dominante, il nuovo "senso comune", scalzando l'egemonia del cattolecesimo: la teologia della cristianità rimane la bandiera delle forze conservatrici, nostalgische dell'ordine coloniale. Tuttavia le ideologie secolari, che contestano il cattolicesimo, non mettono in causa l'eurocentrismo, ma ne reappresentano forme aggiornate di espressione. In particolare il liberalismo, che si affermerà sempre più chiaramente como l'ideologia della nuova classe dominante, la borghesia, discriminatrice ed emarginante nei confronti della grandi maggioranza popolari, Legalizzazione del diritto del più forte, il liberalismo diventa, sul piano intenazionale, l`ideologia dell`imperialismo specialmente nordamericano. In effetti, la sua penetrazione in America latina sarà rafforzatta dall'influsso degli Stati Uniti, avvalendosi anche della evangelizzazione di segno protestante. Tanto che esso sarà sempre più identificato con l'american way of life. L'imperialismo como sistema educativo diventa quindi più complesso, per il peso crescente che assumono in esso le ideologie laiche, e particolarmente il liberalismo; e quindi anche per la maggiore capacità che così acquisisce di mascherare, con un discorso libertario e democratico, la violenza e l'autoritarismo che lo caractterizzano in profondità. L`efficacia di questa è innegabile. In efetti, l'ideologia liberal democratica è oggi egemone a livello mondiale. L'hanno interiorizzata non solo le borghesie, che sono il soggetto naturale, ma anche le classi popolari e la stessa classe operaia, che sono vitime, e che sembravano dover essere i suoi antagonisti naturali. L'hanno interiorizzata le grandi maggioranze, non solo del Primo Mondo, che vi torvano la giustificazione del loro dominio e dei loro benessere, ma anche quelle del Terzo Mondo, che non giungono a verdevi il fondamento della loro condanna. La interiorizzano non solo i paesi privi di sperienze diverse da quella del capitalismo, ma anche e soprattuto le popolazione che hanno sperimentato un sistema "socialista" e che, felici di essersene liberate, inseguono le ricette taumaturgiche del mercato capitalista. Si tratta quindi per l'imperialismo di un grande successo pedagogico, fondato sulla valorizzazione di tendenze profonde della psicologia umana, quali l'egoismo, la volontà di potenza, il servilismo, il bisogno di sicurezza, ecc.; e sulla repressione di altre quali la generosità, lo spirito di solidarietà, la passione per la libertà. Il suo sucesso sta nel fatto che questo modello antropologico si è imposto nella grande maggioranza dell'umanità, fino a diventare sinonimo di "uomo normale" e ad essere considerato espressione della "natura umana". Per compreendere l'importanza e profondità di questo successo educativo, nonè sufficiente riflettere sulla storia in generale o sulla storia dei nostri paesi. `E anche necessario che ognuno di noi rifletta sullla sua propria storia, per capire quanto profondamente il modello imperiocentrico abbia segnato e segni la nostra coscienza e il nostro inconscio, il nostro passato e il nostro futuro. Tra i delitti perpetrati dall'imperialismo, è questo forse il più grave, anche se è occulto, come ogni delitto perfetto: la distruzione degli uomini e dei popoli sia come soggetti autonomi sia come soggetti solidali. Distruzione quindi e, al tempo estesso, corruzione. Uno degli effetti più tragici del suo sucesso pedagogico è il seguente: l'imperialismo può continuare a compieri i suoi misfatti, come è accaduto con la guerra del Golfo, per citare solo l' esempio più recente, senza che l`umanitá s`indigni, protesti, condanni. L`imperialismo ha raggiunto una totale impunità; e può addirittura presentarsi in pubblico como difensori del diritto dei popoli, senza che questa pretesa provochi una risata amara nel mondo intero. La filosofia del liberalismo assume quindi nell'odierna battaglia ideologica un'importanza centrale: sia come sistema teorico sia anche e soprattuto come sostrato della coscienza di massa. Una delle ragioni del successo educativo conseguito dal liberalismo nel secolo XX anche tra le classi popolari, è, paradossalmente, la legittimazione che glì è stata conferita in occidente dall'alleanza con il cristianesimo. Alleanza che, se è facilmente comprensibile da parte del protestantesimo, lo è molto meno per quanto riguarda il cattolicesimo. Esso infatti si era decisamente opposto al processo di secolarizzazione, ed aveva in particolare condannato il liberalismo in due solenni documenti del magistero pontificio, l`Enciclica Quanta Cura e il Syllabus, o "silloge degli errori moderni". Tuttavia il profilarsi della minaccia comunista sul mondo, doveva indurre la Chiesa cattolica a vedere in essa il nemico principale, contro il quale la borghesia liberale diventava il più sicuro alleato strategico. Sul terreno geopolitico poi, il legame con la borghesia si prolungava e consolidava naturalmente nell`alleanza con l'imperialismo nordamericano, che andava costituendo nel Terzo Mondo, specie in` America latina, quello europeo. Un esempio tipico, fra tanti; gerarchia cattolica, borghesia liberale ed imperialismo si alleranno, con estrema combatività contro la rivoluzione popolare sandinista. Sul piano ideologico, questa alleanza si traduce in una elaborazione della dottrina sociale cristiana, in termini decisamente anticomunisti, che assumono sotanzialmente il progetto e i valori della democrazia liberale. Sul piano politico-organizzativo l`alleanza tra cristianesimo e liberalismo è rappresentata con particolare evidenza dai partiti democratici cristiani e dalla loro internazionale. `E quindi interessante, per aproffondire l'analisi dell'imperialismo educativo, studiare le complesse relazioni ed interpenetrazioni tra sua componente laica liberaldemocratica, e quella religiosa, cristiana, teologica. Il marxismo tra antiimperialismo ed eurocentrismo La rivoluzione di ottobre e la successiva costituzione del campo socialista nell`Est europeo hanno rappresentato indubbiamente una svolta in senso antimperialista. Da allora, i movimenti di liberazione popolare sorti nelle varie parti del mondo anno potuto contare con sum alleato potente, anche quando rifiutavano di assumere quei regimi come modelli...Il caso cubano è forse l'esempio più tipico di una lunga resistenza antiimperialista resa possibile dall'appoggio (politico, economico, militare) dellÚnione Sovietica e del campo socialista. Tuttavia il crollo dei regimi comunisti dell`Est europeo ci ha resi più acutamente consapevoli del fatto che quella concezione dell`"internazionalismo proletario " era anch`essa una forma, sia pure diversa, di dipendenza e di eurocentrismo; che in molti casi ha frenato l'elaborazione di un modello autonomo di socialismo. La stessa teoria marxista, in cui pure gran parte dei movimenti di liberazione del Terzo Mondo si riconoscono tuttora, ha dei tratti eurocentrici, dovuti, per esempio al suo persistente economicismo. Esso infatti stabiliva un rapporto stretto fra progresso storico e progresso delle forze produtive; per cui collocava il punto di partenza e il centro propulsore del movimento rivoluzionario mondiale nei paesi di capitalismo avanzato, di cui preannunciava la crisi mortale. L'eurocentrismo della teoria marxista fu puoi accentuato dalla sua transformazione in ortodossia, ad opera dei manuali sovietici, che divennero per i partiti comunisti di tutto il mondo una forma di catechismo ed uno instrumento di educazione autoritaria. `E però ingiusto qualificare senz'altro, secondo uno schema ricorrente, questa forma di dipendenza e di eurocentrismo come "imperialistica", stabilendo una parallelismo stretto tra di essa e l'imperialismo capitalista. Tale parallelismo si giustifica in larga misura per quanto riguarda, o meglio riguardava, il rapporto tra la Russia e le altre republiche dellÚnione Sovietica, o tra lÚnionep Sovietica egli altri paesi socialisti dell`Este; non invece per quanto riguarda il rapporto tra lÚnione Sovietica e i paesi del Terzo Mondo, come Cuba, il Nicaragua, il Vietnam, la Cina, ecc. Ciò che vogliamo invece qui mettere in luce è questo altro aspetto della vittoria riportata dall'imperialismo capitalista. Per cui il marxismo ed il movimento comunista, sorti dall'esigenza di instaurare un nuovo ordine mondiale e di formare un nuovo tipo di uomo, hanno finito per contribuire al consolidamento dell'ordine capitalista ed alla formazione dell'uomo imperiale. Tale costatazione non può non sollevare nei militanti che rifiutano di dare per acquisita la "morte del marxismo" un interrogativo drammatico: perché il marxismo, che pure esprime fondamentalmente sulla società e sulla storia il punto di vista degli sfruttati ed oppressi, non è riuscito quasi in nessuna parte a conquistare l'assenso maggioritario degli sfruttati ed oppressi? Fine dell'antiimperialismo Questo sucesso planetario dell'imperialismo educativo sembra imporre un'accettazione fatalistica dell'ordine imperiale distruggendo ogni possibilità di istaurare un ordine mondiale alternativo. Sembra, in altre parole, decretare la fine di ogni bataglia antiimperialista, liquidata come utopistica", irrealista, perdente. Ma è questa l'unica lettura posibile della situazione del mondo? `E davvero la vittoria della violenza, l'ultima parola della storia? `E davvero tra rasignazione a disperazione che i popoli ed i gruppi sociali opressi si trovano a dover scegliere? Molti movimenti di liberazione del Terzo Mondo si ostinano a negarlo, che anche se non sempre riesce loro facile dare a questo ottimismo della volontà un fonamentale razionale. Il problema è stato impostato in termini particolarmente acuti e stimolanti da Gandhi. Egli descriveva in questi termini la situaznione del suo paese: "In India, 100.000 inglesi dominano 300 milioni di indiani. Ma questo non sarebbe possibile senza l'acquiescenza dei 300 milioni di indiani. Non sono tanto i fucili britannici, la causa della nostra soggezione, quanto la nostra cooperazione volontaria". In altre parole: tra le cause fondamentale dell'asservimento del suo popolo, Gandhi individuava l'esistenza massiccia di questo tipo di uomo e di popolo imperiale, che cioè ha interiorizzato la schiavitù, e vi scorge la sua condizione normale. Tale acquiescenza, osservava egli, è facilitata dal fatto che nel sistema imperiale britannico la violenza non è evidente, ma nascosta, perché istituzionalizzata, cristalizzata cioè nelle strutture politiche ed economiche. Su un piano più generale, Gandhi formulava il principio: "`E possibile governare un popolo solo fino a quando esso consente, consciamente o incosnciamente di essere governato". Analizzando poi il fenomeno della soggezione pratica, egli ne segnalava in particolare due aspetti: la sottomissione intellettuale, dovuta a incapacità di analizzare e di scoprire una violenza nascosta; la codardia, il servilismo, la paura, che inducono a schierarsi sempre dalla parte del più forte. Il primo problema sollevato dalla liberazione dellÍndia era quindi per lui seguente: come destare la coscienza dei 300 milioni di indiani? Come provocare in essi un sentimento d'indignazione e di rebellione contro il sistema che li opprime? Come spezzare questo rapporto di collusione, e in questo modo paralizzare il sistema stesso? Mi domando se un discorso affine a quello di Gandhi non si possa svolgere a proposito di tutto il Terzo Mondo, anzi di tutto il mondo. Dove un milione di uomini ne dominano tre miliardi. Il che è possibile solo grazie all'acquiescenza ed alla collusione di questi tre miliardi di persone con i loro dominatori. Si questo è vero, il problema politico fondamentale, per tutto il Terzo Mondo, come per lÍndia sarebbe: comme ottenere che si spezzi questa complicità massiccia degli oppressi con gli oppressori? comme provocare negli oppressi la coscienza del loro diritti della loro dignità, della loro capacità di iniziativa, che può fare di essi una grande forza storica trasformatrice ? come destare la passione per la libertà sepolta nell'inconscio dello schiavo e provocare così il sorgere di un uomo e di un popolo nuovo? Ma il problema si pone anche per il Primo Mondo, dove una minoranza ha diritto di vita e di morte sulle grandi maggioranze. E addormenta la loro coscienza, il loro senso di dignità, il loro desiderio di libertà, offrendo loro le droghe legali del benessere, del consumismo, in alcuni casi del successo e della superiorità sugli altri. E allora, diventa di estrema urgenza provocare nella vecchia Europa, negli Stati Uniti d'America, nel Giappone, il sorgere di un uomo, e di un popolo nuovo animati dalla passione della libertà e della solidarietà. Ha ancora senso impegnarsi oggi in un tale proggetto di liberazione, oppure il realismo c`impone di rinunciarvi. Si tratta per il Terzo Mondo, per tutto il mondo, di una questione di vita o di morte, di essere o non essere. La filosofia della liberazione è sostanzialmente un tentativo di rispondere, rigorosamente ed appassionatamente, a questo problema. CULTURA, EDUCAZIONE ED ALTERNATIVA POPOLARE ANTIIMPERIALISTA La filosofia della liberazione popolare nella dialettica culturale e educativa Nella prima parte della nostra riflessione abbiamo inteso soprattutto suscitare una presa di coscienza del conflitto geopolitico, nel quale siamo impegnati e dell'importanza decisiva che all'interno di esso spetta alla dialettica culturale, nel suo duplice aspetto: come elaborazione sistematica del sapere e in primo luogo di una visione del mondo; como azione educativa a livello di massa per la formazione di un modello di uomo e di popolo. Questa presa di coscienza non poteva evitare un bilancio decisamente negativo del conflitto; doveva cioè riconocere la vittoria della violenza nella storia, sia sul piano politico ed economico, sia sul piano culturale. Vittoria così profondamente iscritta nell'organizzazione del mondo e nella psicologia dell'uomo, da sembrare definitiva, quasi fosse la fine della storia; da privare quindi di contenuto il concetto stesso di "liberazione". La vittoria della violenza sembra segnare anche al discorso razionale, scientifico, filosofico o teologico, dei limiti invalicabili; delle colonne d'Ercole oltre le quali, non gli è lecito avventurarsi. Priva cioè di qualunque ligittimità una cultura alternativa. Le teologia della liberazione rappresenta la violazione più clamorosa di quell'interdetto. Essa scaturisce da una rinnovata fiducia nel destino dei popoli opressi e nelle loro capacità represse di iniziativa storica. Essa denuncia il carattere eurocentrico della teologia dominante, nella chiesa cattolica come nella chiese evangelische, e si costituisce appunto a partire da una rottura epistemologica con l'eurocentrismo e con l'imperialismo. Non si può cogliere nella sua pienezza il significato di questa impresa e della repressione sistematica di cui è oggeto da parte sia della gerarchia cattolica sia dell'apparato ideologico dell'imperialismo, se non la si inquadra nella dialettica più globale tra cultura degli imperi e cultura dei popoli. Ma l'interdettto imperiale è stato violato dalla coscienza cristiana anche sul terreno della reflessione filosofica. Questa, per quanto ispirata da una esperienza cristiana, si muove autonomamente sul terreno della razionalità. Ciò le impone di rendere più esplicito il suo fondamento critico e le consente per cioè stesso di avviare, sul comune terreno della razionalità, un confronto con le altre correnti filosofiche; in particolare con il marxismo da un lato e il liberalismo dall'altro. La teologia della liberazione poi, come ogni teologia, si avvale, per sistematizzare ed elaborare l'esperienza di fede, anche di categorie filosofiche. Esse sono desunte dall'umanesimo cristiano, sviluppato e radicalizzato nel confronto con l'umanesimo marxista e con le scienze umane, specialmente sociali e psicologiche. Anche questa riflessione filosofica interna alla teologia della liberazione, da essa spirata o cooptata, rientra indubbiamente nella filosofia della liberazione. La filosofia della liberazione popolare ha quindi nella tradizione cristiana una delle sue sorgenti più vivaci. Tuttavia, il suo punto di riferimento non è il cristianesimo nella sua verzione ufficiale, ma in quella sovversiva, scaturita da una riscoperta del messagio liberatore di Gesù. Ma vi è un altro fronte della battaglia culturale antiimperialista, cui la filosofia della liberazione deve prestare specialissima attenzione: è quello aperto dall'educazione popolare liberatrice. Esso costituisce, a mio giudizio, il più importante movimento culturale contemporaneo: naturalmente per chi valuta la cultura non dal punto di vista dei gruppi sociali e dei popoli dominanti, ma dal punto di vista degli opressi in quanto soggetti. L'educazione popolare liberatrice è infatti un'impostazione educativa intesa a formare le persone come soggetti, della loro stessa educazione, della loro vita, dell'impegno politico; è quindi per eccelenza il luogo di formazione del popolo come soggetto storico. L'educazione popolare liberatrice si contrappone pertanto frontalmente al sistema educativo imperiale, per il suo agente principale, il suo metodo. Suo fine e appunto la formazione di un nuovo modello di uomo e di popolo antitetico a quello imperiale, proprio per la sua coscienza di essere soggetto solidale. Agente principale di questa educazione non sono i gruppi ed i popoli dominanti, ma i gruppi ed i popoli opressi in rivolta contro la condizione loro imposta; il metodo non è più autoritario, ma imperniato sulla pratica della libertà e della coscientizzazione. Dal nostro punto di vista, assume particolare importanza nella maturazione della persona e del popolo come soggetto, la presa di coscienza dell'opressione imperialista, e la ribellione contro di essa. Ma più profondamente, sarà importante per il filosofo riflettere sui contenuti teorici del processo di coscientizzazione: il quale no è solo la presa di coscienza di una situazione di opresione, ma anche la scoperta di un nuovo sistema di valori, la maturazione di un proggetto alternativo di vita e di società. In altre parole: nel processo di coscientizzazione è implicita una filosofia della liberazione popolare, che il filosofo ha il compito non di inventare, ma di esplicitare, attingendo alla fonte vivace della coscienza popolare. `E questo d'altro lato l'itinerario seguito dalla teologia della liberazione, la cui fonte principale è la fede vissuta dal popolo nel vivo della sua ricerca e della sua lotta. Ricerca e lotta che trovano nell'educazione popolare liberatrice uno dei loro momenti più decisivi. Vi è quindi fra teologia della liberazione ed educazione popolare liberatrice un rapporto molto stretto, che si manifesta anche nel comune riferimento al metodo vedere-giudicare-agire. Ed è molto significativo il fatto che il proggetto di educazione popolare liberatrice sia nato dall'sperienza cristiana di Paolo Freire e trovi un'accoglienza particolarmente calorosa tra la comunità ed i movimenti cristiani nelle lotte di liberazione. La filosofia della liberazione popolare non hà però solo una matrice cristiana. Non meno importante nella sua genesi è la tradizione marxista. Ma anche all`interno di questa esitono profonde diversità e contradizione, che impongono a chi voglia riferirvisi precise scelte di campo. Per parte nostra, ci riferiamo alle correnti umanistiche del marxismo, a quelle soprattuto che sono impostate in chiave decisamente aintimperialista. `E particolarmente importante dal nostro punto di vista la critica del marxismo dogmatico ed economicistico dei manuali, come anche la critica del socialismo autoritario realizzato nei paesi dell`Est europeo e dell'internazionalismo eurocentrico; critica sviluppata oggi largamente in nome dello stesso marxismo e del proggetto socialista. Ciò si verifica con particolare vivacità nel dibattito cubano, alla luce del pensiero riscoperto del Che Guevara. Di straordario interesse mi sembra inoltre, nell'ottica filosofica della liberazione, la rigorosa ed appassionante rilettura di Marx da un punto di vista latinoamericano che sta sviluppando Enrique Dussel: il cui pensiero costituisce non a caso delle espressioni più significative, sul piano internazionale, della filosofia della liberazione. Sul rapporto con il marxismo torneremo dopo aver ulteriormente chiarito la nostrra concezione della filosofia della liberazione popolare. Volevamo però subito rilevare che per noi questa filosofia non nasce dalle ceneri del marxismo, ma dalla sua persistente vitalità. La filosofia della liberazione popolare, scelta di campo per il popolo come soggeto. Che cosè allora la filosofia della liberazione popolare? Essa non è una dottrina particolare, ma tutto un campo aperto di ricerca filosofica, caratterizzato dall'opzione di fondo che ne segna la direzione. Questa è indicata nella stessa definizione che ne abbiamo dato, qualificandola come scelta di campo nel conflitto Nord-Sud. Si tratta, più precisamente, di una scelta di campo etico-politica, dalla parte dei gruppi sociali e dei popoli opressi in quanto soggetti storici potenziali. Presa di partito che coincide nella sostanza con la "scelta dei poveri" cui si spira la teologia della liberazione; ma ne splicita il significato politico geopolitico. Per rispondere in prima aprossimazione alla domanda "che cosè la filosofia della liberazione?", vogliamo riflettere sulle implicazioni di questa scelta fondamentale. Tra i primi compiti della filosofia della liberazione popolare vi è l'analisi di quel concetto di "popolo come soggeto' rispetto al quale esse si definisce. Popolo non è inteso qui unicamente in termini sociologici o ontologici, ma politici e geopolitici. Significa un blocco storico costituito intorno ai gruppi sociali subalterni, unificato da un proggetto di autodeterminazzione nazionale e di alternativa sociale. Un proggetto cioè di liberazione nazionale e sociale, strettamente collegate; decisamente aintimperialista ed anticapitalista. Questo blocco storico è considerato un "soggetto storico potenziale", nel senso che non è una realtà già costituita ma un obbiettivo da realizzare progressivamente: è quindi al tempo stesso protagonista e fine del processo di liberazione. D'altro lato, la genesi del blocco storico alternativo non è il prodotto meccanico dei rapporti di produzione, ma frutto di un laborioso processo di formazione, cui la stessa filosofia della liberazione è chiamatta a collaborare. `E a questo rapporto organico che fa riferimento la qualifica da noi proposta della filosofia della liberazione come popolare. Naturalmente questa definizione formale ed astratta ha una funzione euristica: deve cioè servire di guida alla scoperta di contenuti particolare e concreti che in ongi situazione consentono di precisare la composizione del bloco storico. Il "popolo-soggetto" ed il proletariato Per approfundire ulteriormente il concetto di "popolo" pietra angolare della filosofia della liberazione, sarà certo utile paragonarlo con quello di "proletariato", pietra angolare della teoria marxista. Dobbiamo anziutto rilevare l'affinità profonda tra le nostre preocupazzioni e quelle di Marx, nel porre al centro della teoria i gruppi sociali sfruttati ed opressi, in antitesi alle teorie elaborate dal punto di vista dei gruppi dominanti. Questa affinità di preocupazioni non esclude però differenze e divergenze significative. Rileviamone alcune. Il concetto marxista classico di porletariato si definisce in rapporto alla dialettica di classe, in contrappozione alla borghesia; il nostro concetto di popolo si definisce in rapporto simultaneamente in rapporto alla dialettica di classe ed alla dialettica internazionale. Si contrappone sia alle classi dominanti sia alle potenze imperiali; scaturisce cioè dall'intreccio fra classe e nazione, fra le esigenze di liberazione sociale e di liberazione nacionale. `E primariamente di fronte all'imperialismo che "il popolo" tende ad affermarsi come soggetto, ad esercitare il diritto di autodeterminazione, o, in altre parole, il diritto alla propria identità. Il concetto di popolo si distingue da quello di proletariato anche perchè non designa solo una classe, ma un blocco sociale, costituito intorno alle classi subalterne ed unificato dal proggetto di liberazione nazionale e sociale. L'accento poi che poniamo sul popolo in quanto soggetto, intende escludere che il protagonista della liberazione possa essere designato automaticamente dalla sua collocazione oggettiva nei rapporti di produzione, caratterizzandolo invece come prodotto di un processo laborioso di maturazione soggetiva, di una "riforma intellettuale e morale", strettamente collegata con la battaglia, per la transformazione delle strutture politiche ed economiche. Il "popolo- soggetto" si distingue quindi da un "proletariato" inteso in senso oggettivista, nella prospettiva del marxismo economicista(1). Per Marx ed Engels, il gruppo sociale destinato a dirigere il cambiamento e la società futura sorge in funzione dello sviluppo delle forze produttive. Gruppo vincente è quello che è in grado di controllare il modo di produzione e fino a quando è in grado di farlo. La borghesia ha diretto il processo di transizione al capitalismo contrapponendosi alla monarchia ed all'oligarchia feudale ed egemonizza la società capitalista, perchè ha avutto la capacità di controllarne il funzionamento. La perdita di tale capacità spiegherebbe oggi la crisi "mortale" della stessa borghesia del sistema capitalista. Nello stesso tempo però emergerebbe la classe destinata dallo sviluppo storico a "seppellire" il sistema capitalista, ad istaurare e dirigere il nuvo modo di produzione: il "proletariato" appunto. Tali erano la previsione "scientifiche" dell'ottimismo marxista. In questa prospettiva, assumere in punto di vista del proletariato, no è propriamente compiere una scelta etico-politica, ma è prima di tutto prendere coscienza scientificamente delle leggi oggettive della storia. Esse consentirebbo infatti di prevedere che gli sfruttati ed opressi di oggi, saranno i vincitori di domani; e di orientare quindi l'azione collocandosi fin d'ora dal loro punto di vista. Lottando quindi dalla parte del proletariatto, Marx e Engels nos si schierano propriamente dalla parte dei poveri, dei deboli sconfitti di oggi, ma da quella dei più forti e dei vincitori di domani. La presa di partito cioè non si fonda formalmente sulla loro condizione di opressi, ma di forza storica ascendente. La politica si mantiene pertanto sul terreno dei rapporti di forze, evitando di coinvolgere i valori morali. Per questo Marx ed Engels polemizzano duramente con Kriege, denunciando la sua "confuzione" tra i poveri e il proletariatto ed ironizzano sui suoi "sdilin`quimenti d'amore"(2). Discutendo poi con Marx Stirner, essi rilevano: "Egli identifica anche logicamente proletariato e pauperismo, mentre il pauperismo è soltanto la condizone del proletariato rovinato, l'ultimo stadio cui si abassa il proletariato che non ha più la capacità di resistere alla pressione della borghesia: soltanto il proletario privo di ogni energia è un povero"(3). Marx ed Engels cercano però di stabilire un raccordo tra rapporti di forze e valori morali. La centralità politica della classe operaia è infatti dovuta anche al fatto che i suoi interessi coincidono oggettivamente con quelli dell'intera società; in quanto la sua emancipazione porterebbe con sè l'emancipazione di tutti. Esso è quindi il gruppo capace di superare l'ottica e di porsi dal punto di vista della totalità. Il materialismo storico poi, in forza dell'ottimismo che lo pervade, prevede la vittoria finale degli opressi e quindi l`avvento del regno di giustizia e di libertà. Annuncia pertanto una riconciliazione finale tra li sviluppo imperniato sui rapporti di forze ed il persseguimento dell'ideale etico- politico. Questa certezza della vittoria futura è statta per molto tempo uno dei costitutivi della coscienza del militanti ed una delle grandi motivazioni del loro impegno: essi affrontavano anche il sacrificio totale, ma con la certezza che comunque la causa per la quale esse morivano avrebbe trionfato. Si comprende come il crollo di queste certezze, negli ultimi vent'anni, abbia posto frequentemente in crisi la stessa identità del militanti, fino provocare dei suicidi. `E quindi importante anche per far fronte a questo problema riesaminare i fondamenti della militanza: che sono poi gli stessi della filosofia della liberazione popolare. `E importante cioè mettere in luce la spirazione profondamente etica diquesto impegno politico. Che consiste in una scelta di campo dalla parte del popolo non in quanto vincitore di domani, ma in quanto sconfitto ed opresso di oggi. Anche se naturalmente la vittoria del popolo e quindi della giustizia rimane l'oggettivo essenziale dell'azione politica. Fondamento della filosofia della liberazione Primo compito della filosofia della liberazione è quindi di ilustrare e giustificare nella sua originalità questa presa di partito fondamentale, che è anche una scelta di vita. Essa colloca infatti nel cuore della ricerca filosofica una scelta di amore, di giustizia e di solidarietà, decisamente antagonista a quella che spirata attualmente l'organizzazione della società e del mondo. Perché si pone in una società in cui il popolo non è soggetto della storia e in un mondo nel magioranza dei popoli non hano raggiunto la condizioni di soggettiq. La rottura epistemologica che instaura questa nuova filosofia coincide quindi con una rottura politica e geopolitica nei confronti dell'ordine capitalistico ed imperialistico vigente. Questa opzione fondamentale pone pertanto alla radice della filosofia una tensione utopica. Perché la realizzabilità del proggetto di una società e di un mondo che essa propugna non è fondata scientificamente,a differenza di quanto pensano Marx ed Engels, ma vienne assunta audacemente come ipotesi storica feconda. Porre a fondamento della filosofia della liberazione un'opzione che è indissociabilmente etica e politica significa caratterizzarla in vari sensi: a)`E una filosofia strettamente legata ad un certo tipo di prassi, politica e geopolitica. b) Le sue scelte politiche e geopolitiche sono segnate decisivamente da una preocupazione etica: cioè dalla volontà di rendere l'amore storicamente efficace. Si pone quindi alla radice di questa filosofia l'esigenza di rompere con una concezione della politica intesa unicamente come conflitto di interessi e come rapporto di forze, aprendo invece le porte all'irrompere delle energie morali. Questo sono chiamate ad intervenire sia come motivazione profonda dell'impegno politico e geopolitico sia come forze storiche, la cui efficacia intende contrapporsi nella dialettica storica, alla legge della violenza. c) La filosofia della liberazione scaturische pertanto da un stretto rapporto fra il polo esistenziale, soggettivo e il polo politico, oggettivo, della ricerca e della liberazione; tra proggetto di vita e proggetto di società. Il vincolo tra di essi è costituito dalla centralità dell'amore per l'altro in quanto soggetto, riconosciuto cioè e promosso nella sua libertà e soggettività. Questa scelta è profondamente innovativa sul terreno morale dove si contrappone non solo all'egoismo, ma anche ad una concezione paternalista ed assistenziale dell'amore. Ed è innovativa sul piano politico e geopolitico, dove si contrappone alle forme di solidarietà interclassista, assistenziale, alle molteplici "alleanze per il progresso", in nome di un riconoscimento del popolo e dei popoli come soggetti. d) `E una filosofia il cui principio primo, da cui dipende la sua validità teorica, non è teorico ma pratico. La scelta di campo per il popolo come soggetto, l'amore liberatore di cui essa vuol essere espressione è un "principio Primo", nel senso che la sua validità non si fonda su certezze anteriori, ma è evidente per se stessa. Questa evidenza però non è automatica, ma si manifesta quando nel soggetto maturano determinante disposizioni morali. Impostazione che resspinge quindi il dualismo tra ragione speculativa e ragione pratica per rilevare invece l'interazione fra questi due poli di ragione. In tale prospettiva, non è l'ontologia che fonda l'etica, mas vicerversa, sono le scelte di fondo che oriantano decisivamente l'interpretazione della realtà. Il riconoscimento del popolo come soggetto, fondamento etico-politico della filosofia della liberazione, è anche il suo fondamento episteologico. Esso rappresenta infatti una scelta di campo culturale, antagonista ed alternativa all'eurocentrismo ed all'imperiocentrismo. `E un tentativo di rifondazione culturale del punto di vista del popolo e dei popoli come soggetti. Con questa precisazione, non intendiamo solo affermare la necessaria coerenza tra il proggetto culturale da un lato, il proggetto etico-politico dall'altro, ma anche rivendicare uno stretto rapporto tra verità intellettuale da un lato e rettitudine morale e politica dall'altro. In forza della rettitudine morale della sua prassi, il popolo è più disposto a cogliere il senso autentico della vita della storia di quanto non siano i gruppi sociali dominanti e quanti guardano le cose dal loro punto di vista. Rovesciando cioè anche sul piano epistemologico il senso comune della nostra cultura, riteniamo che il luogo più per cogliere con verità il senso delle cose, non è "in alto", presso il trono dei potenti, ma in basso, nella coscienza ribelle degli opressi. Difficili non cogliere le risonanze evangeliche di questa scelta di campo razionale, in cui si sente l'eco delle parole di Gesù: "Ti ringrazio, Signore di tutto l'universo... perché hai voluto far conoscere a gente povera e semplice quelle cose hai tenuto nascoste ai sapienti ed agli inttelletuali" (Mt.10,25). In altre parole, nella prospettiva evangelica, la centralità epistemologica dell'amore rinvia alla centralità epistemologica dei poveri: ossia alla particolare capacità ad essi riconosciuta da Gesù, in ragione della loro collocazione sociale, di capire il suo messagio. Questa duplice centralità, caratterizzante per la teologia della liberazione, lo è anche per la filosofia della liberazione: è questa una delle più importanti convergenze tra di esse. Ma quale più precisamente il motivo della paradossale superiorità culturale che attribuiamo ai "poveri" , cioè al popolo in quanto soggetto? Nella prospettiva del marxismo economicista, è la collocazione oggettiva nei rapporti di produzione che designa il proletariato sia alla egemonia sia ala coscienza teorica. Coscienza teorica è infatti la capacità di cogliere le realtà e gli avvenimenti particolari nella prospettiva della totalità, di situarli cioè in rapporto al senso della storia. Pertanto, in ogni fase storica, il punto di vista epistemologicamente più valido è quello della classe capace di dominare le forze produttive. In definitiva quindi, anche per Marx ed Engels, la verità sulla storia sta nel punto di vista del gruppo sociale vincente, che fino a ieri stato la borghesia, ma che domani dovrebbe essere il proletariato. Nella nostra prospettiva invece, il valore epistemologico della prassi di liberazione si fonda sul suo valore etico: non è la prassi economica e politica come tale, che è il punto di riferimento della ricerca intellettuale, ma la prassi nella sua dimensione etica: la cui rettitudine deriva appunto dal fatto che essa è spirata dalla giustizia e dall'amore. In effetti, la ricerca della verità, specie quella che riguarda il senzo della vita e della storia, non è un processo puramente intellettuale, essa coinvolge la persona nella sua totalità. Ma perché in questo processo la rettitudine della prassi favorisce la scoperta della verità? Per molte ragioni. La rettitudine della prassi crea anzitutto quell'atteggiamento di onestá intellettuale, che conduce a guardare la realtà senza infingimenti. Non a caso la ricerca teorica ha sempre ritenuto di dover essere "disinteressata", ossia indipendenti dagli interessi pratici. Ma in questo senso il desinteresse, come ha ben visto Nietzsche, non esiste né in cielo né in terra. Gli interessi pratici, i desideri profondi, l'orientamento vitale, la carica emotiva, incidono fatalmente sugli orientamenti conoscitivi, anche se per lo più inconsciamente. Il vero problema è di capire se incidono necessariamente in senso negativo, ossia occultando e falsando la realtà, o se possano anche influire in senso positivo, favorendo cioè la sua scoperta. Questione evidentemente decisiva per una impostazione culturale. Per la filosofia della liberazione, non vi sono dubbi su questo punto: l'influsso della prassi sulla conoscenza è sempre negativo quando gli interessi in gioco sono egoistici e corporativi; quando la conoscenza è al servizio della volontà di potenza; quando il soggetto cerca nella realtà gli instrumenti per dominare gli altri e non è invece preocupato di scoprirli nella loro alterità. Allora l'egocentrismo etico si traduce in egocentrismo culturale, dando luogo alle divere forme di etnocentrismo, tra cui l'eurocentrismo e l'imperiocentrismo, che segnano negativamente il pensiero e la cultura dei gruppi sociali e dei popoli dominanti. Essi elaborano infatti un'immagine della realtà, che, al servizio della loro prassi di dominio, deforma necessariamente la realtà, fino a rovesciarla; che occulta la situazione di opressione e soprattuto la possibilità di superarla; che elabora un sistema di valori omogeneo all'ordine costituito, imperniato sul diritto del più forte, e destinato a garantirne la stabilità. In una parola, la pratica della violenza è inseparabile dal ricorso sistematico alla mengonza per nascodersi e legitti- marsi. Un orientamento spirato invece all'amore ed da alla giustizia induce a porsi dal punto di vista dell'interesse di tutti e quindi ispira un attegiamento di onestà intellettuale. Tale pratica non è per questo neutrale. In una società ingiusta, l'unico modo concreto di praticare la giustizia è di schierarsi da una parte, da quella cioè dei poveri e degli emarginati; l'unico modo per identificarsi con tutti è di identificarsi con il popolo come soggetto. In una società di classe, l'amore è universale solo se è classista. Ora questo superamento degli interessi egoistici dispone a guardare la realtà lucidamente. Esso determina una convergenza tra interessi teorici e pratici. Gli opressi infatti hanno interesse a smascherare la violenza, a mettere il dito sulla piaga della sofferenza, dell'opressione, dello sfruttamento, del'imperialismo; ad analizzare rigorosamente le strutture che il soffocano e soffocano il mondo, a documentarne contro il fatalismo la storicità e mutabilità, a liberare le aspirazioni rimosse dei popoli e le loro potenzialità represse di libertà. Più di tutti, gli opressi hanno bisogno della luce; più di tutti sono pronti ad accoglierla. Affermare la connaturalità degli umili con la verità è possibile solo alla luce de una concezione della verità stessa non puramente contemplativa, ma trasformatrice; che si definisce cioè non solo in rapporto a ciò che esiste, ma anche a ciò che può, a ciò che deve esistere; di una verità che, in una parola, è liberatrice. Perchè la disposizione a scoprire le nuove potenzialità storiche scaturisce appunto dalla volontà di transformazione e di liberazione. Ancora una volta, l'amore, la giustizia, la scella di campo per il popolo, l'identificazione con coloro che hanno un interesse vitale ad operare per un mondo nuovo, dispone a cogliere questi aspetti inediti della realtà. La liberazione del popolo è quindi anche liberazione della sua intelligenza e creatività, represse dalla dipendenza. Per questo, la scelta di campo per il popolo, attraverso l'identificazione che determina, rende partecipe l'intellettuale che sa ascoltarlo della sua intelligenza e creatività. CONCLUSIONE La filosofia della liberazione per un'insurrezione della coscienza popolare Nel cuore della crisi di civiltà che stianno attravessando, la filosofia della liberazione si presenta come momento fondamentale di una insurrezione della coscienza popolare contro l'oganizzazione imperiale del mondo. La lotta contro la criminalità organizzata deve partire da lì, se vuole colpire il male alla radice. Questo grido di allarme, questo appello alla mobilitazione dovrebbre essere al centro di una rifondazione, della sinistra e di una strategia l`alternativa. Per un objettivo così ambizioso, la filosofia della liberazione ritiene di dover valorizzare tutte le grandi tradizioni ideali che si battono, troppo spesso in concorrenza tra loro, per la liberazione degli uomini e dei popoli; e che invece, sul terreno di questa filosofia, hanno la possibilità di una ricerca comune, di una complementarietà dialettica, spesso anche di una confluenza. Penso in primo luogo al cristianesimo ed al marxismo, che possono recare l'uno e l'altro un contributo alla filosofia della liberazione, nella misura in cui, rompendo con l'etnocentrismo e il dogmatismo delle loro rispettive tradizioni, riscoprono la carica liberatrice delle loro ispirazioni originarie. Forse l'incontro più fecondo tra marxismo e cristianesimo, è quello que si verifica tra gli eritici della due chiese. Questa confluenza poi consente alla filosofia della liberazione, di realizzare l'articolazione tra personale e politico, che è una delle sue caratterische fondamentali. Ma all'imprensa è chiamata a collaborare anche tutta la grande tradizione liberare e libertaria, che in vari paesi ha spirato movimenti di indipendenza nazionale; ma che oggi è diventata l'ideologia elitista e discriminatrice, dell'imperialismo capitalista. Per questo, il dibattito tra liberalismo e filosofia della liberazione dovrebbe porsi al centro della battaglia ideologica contemporanea. Nella elaborazione poi di una filosofia che sorge in alternativa alla cultura della violenza, non si può non attribuire un'importanza particolare alla tradizione gandhiana del Satyagraha. Certo, questa si è sviluppata storicamente in polemica con il marxismo, ma nel travaglio della rifondazione culturale, di cui stiamo proclamando l'urgenza, dovrà stabilire con esso un rapporto dialettico, di critica e di fecondazione reciproca. Inoltre, una filosofia così orientata non potrà non valorizzare ad ogni passo il contributo delle scienze umane, sociale e psicologiche. Tra di esse, una ricerca intesa a esplorare e liberare l'inconscio personale e collettivo, attibuira un rilievo particolare alla psicoanalisi ed alla socianalisi. Ma le scienze umane potranno contribuire all'impresa nella misura in cui saranno consapevoli della necessità di compiere esse stesse, all'interno del loro rispettivi settori, una scelta di campo. Tale ricerca poi non sarà solo interdisciplinare, ma metadisciplinare. Nel senso che, premuta dalla complessiá del reale, romperà le barriere che separano tradiuzionalmente e spesso formalisticamente, le varie discipline. Altro punto di riferimento, destinato a diventare sempre più importante per la filosofia della liberazione è l'educazione popolare liberatrice per diverse ragioni. Perché anzitutto, come abbiamo già rialvato, la filosofia della liberazione è in larga misura esplicitazione e sistematizzazione della ricerca implicata nel processo di coscientizzazione. Perchè d'altro lato la filosofia della liberazione potrà effetivamente suscitare un'insurrezione di massa se riuscirà a diventare un fattore di coscientizzazione popolare. Perchè finalmente la vocazione della filosofia della liberazione non è solo di esprimere una scelta di campo per il popolo come soggetto, ma è di essere la filosofia elaborata in prima persona dallo stesso popolo; il che diventa possibile solo nell'ambito dell'educazzione opolare liberatrice ed alla luce della sua metodologia. Ed è proprio al livello dell'educazione popolare liberatrice che si verifica lo scontro frontale con l'imperialismo in quanto sistema educativo, inteso a plasmare l'uomo ed il popolo imperiale. Qui infatti avviene la laboriosa gestazione dell'uomo nuovo e del popolo come soggetto solidale. Ed è anche a questo livello che deve svilupparsi la discussione e lo smascheramento dell'ideologia liberale, se si vuole non solo confutarla, ma anche distruggerne l'egemonia. La filosofia della liberazione di fronte al V Centenario L'antagonismo tra i due orientamenti culturali in cui esprimono rispettivamenti il punto di vista degl'imperi e quello dei popoli si manifesta con particolare evidenza di fronte all'evento cruciale della scoperta-conquista dell'America. Per la cultura imperiale infatti non si è tratatto di incontrare altri soggetti, portatori di una loro storia, cultura, religione, ma di scoprire il modo di utilizzare quei popoli, le loro terre, le loro ricchezze, la loro forza-lavoro a servizio dell'impero: negandoli cioè come soggetti e riducendoli ad oggetti. Solo la nostra esaltazione eurocentrica ci permette di designare come "scoperta" ciò che dovrebbe invece essere chiamato occultamento e distruzione; ci permette di considerare un grande progresso storicco un evento che per le popolazioni indigene e le loro culture è stato la condanna a morte. Autentica scoperta dell'America è invecce quella compiuta oggi dagli stessi popoli latinoamericani che emergono alla coscienza ed alla dignità di soggetti storici, che rivendicano la loro storia e la loro cultura, che liberano le loro risorse e la loro creatività represse, rivalutano la storia, la cultura, le religioni delle popolazioni indigene, affermano contro le potenze imperiali il diritto doi determinari il proprio destino e si battono per poterlo esercitare. Veri scopritori dell'America sono quindi i grandi Libertadores, i movimenti di liberazione nazionale e sociale, le organizzazioni indigeniste ecc.: in una parola tutte le espressioni, politiche e culturali, dell'antiimperialismo. Alla scoperta-conquista si contrappone cioè l'autoscoperta-liberazione. Dall'identificazione con queste forze scaturisce appunto la filosofia della liberazione, che rappresenta a sua volt a un ulteriore contributto all'autoscoperta. Così intesa però, questa non è più un avenimento verificatori ad una data precisa, ma è un processo storico indefinito, incessantemente rilanciato. Un momento particolarmente intenso di esso sarà l'insurrezione della coscienza popolare, alla quale la filosofia della liberazione intende contribuire diretamente. Agli europei che s'imbarcheranno al fianco dei popoli insorti, l'esplorazione riserva una grande sorpresa: che cioè scoprendo l'America per questa via, scopriranno anche l'Europa, riconstruiranno cioè la loro vera identità e grandezza; che non è quella di civilizzatori e conquistatori, ma di fratelli solidali, impegnati nella lotta al fianco degli indigeni e dei popoli colonizzatti di ieri. Tale scoperta sarà tanto più sconvolgente quanto più europei saranno decisi a pagare il proprio enorme debito storico con il passato di quei popoli contribuendo con essi a costruire il loro nuovo futuro. `E impegnandosi così per la liberazione di tutti i popoli opressi, che gli europei si libereranno essi stessi. Coinvolta nella battaglia su questi fronti diversi e complementari, la filosofia della liberazione potrà contribuire a costruire davvero, all'insegna della libertà e della solidarietà universali, quel "mundo nuovo" che i conquistatori s'illudevano di aver "scoperto". -------------- 1) Questa interpretazione "oggettivista" del proletariato si spira anche ad alcuni testi di Marx e soprattuto di Engels, che in effetti non sembrano esseri pienamente liberati da un certo economicismo. Scrivono per esempio: " Non si tratta di sapere ciò che questo o quel proletario si rappresenta momentaneamente come fine. Si tratta di ciò che il proletariato è e di cioè che deve essere storicamente in conformità al suo essere. Il suo fine a la sua azione storica gli sono tracciati, in modo tangibile ed irevocabile, nella sua propria situazione d'esistenza, come in tutta l'organizzazione della società borghese atuale. Inutile precisare qui che una gran parte del proletariato inglese e francese ha già preso coscienza della sua missione storica e lavora incessantemente a sviluppare questa coscienza fino alla completa chiarezza"; F. ENGELS - K.MARX, Die heilige Familie in Marx-Engels Werke, Dietz Verlag, Berlino, vol.II, p. 38. 2)Zirkular gegen Kriegen, Marx-Engels Werke, vol. IV, pp.3-18. 3)Die deutsche Ideologie, Marx-Engels Werke, vol. III, p. 183. (*) Trabalho apresentado no Colóquio " Filosofia e Liberdade", organizado por Domenico Jervolino e Giuseppe Cantillo em Napoles, Italia, Abril de 1991. Publicado em "Segni e Comprensione" Nº15, Anno VI, Gennaio-Aprile 1992, Capone Editore, Cavallino(Le), Italia. 18